La reazione è in marcia
Ieri sera a Palazzo Isimbardi a Milano c'è stata una bellissima iniziativa sul settantesimo anniversario della Liberazione.
Una "staffetta di letture" di scritti di donne e uomini che la Resistenza l'hanno pensata e fatta vivere davvero.
Io ho letto un pezzo di Piero Gobetti tratto dall'articolo "Processo al trasformismo" pubblicato su "La Rivoluzione Liberale" la sua rivista settimanale. Gobetti era un giovane intellettuale profondamente antifascista
dalla salute malferma che a soli 24 anni ha pagato con la vita le sue posizioni coraggiose a causa delle violenze degli squadristi fascisti. E solo un vero antifascista che ha dato la vita per la libertà di parola, poteva scrivere queste parole, che commentano l'omicidio di Giacomo Matteotti, un altro antifascista, militante, socialista e riformista.
"Dal giugno del '24 la politica italiana è dominata dalla considerazione dell'assassinio di Giacomo Matteotti. Assassinio politico, delitto del regime, di fronte al quale noi, anti-Mussoliniani e Antifascisti, invocammo sin dal primo giorno, come unica risposta, il processo al regime. Ci fu chiaro sin dal primo giorno che del caso Matteotti bisognava fare la pietra di paragone della nostra dignità di popolo moderno. E nel processo al regime dovevano essere coinvolti come complici quelli che hanno sostenuto o resa possibile con le loro responsabilità passate una situazione di trasformismo, cortigianeria, di corruzione medioevale, quelli che hanno umiliato con risorse di domatori e raffinatezza di lusingatori la dignità politica appena nascente di un popolo troppo a lungo condannato alla retorica dei mendichi. Le colpe dei reduci sono anche le colpe dei padri. Nel caso Matteotti il problema diventava di facile comprensione: ogni coscienza doveva provare un fremito ribelle. Sempre bisogna che le nazioni trovino l'ora dell'esame di coscienza, che sappiano misurare la loro sensibilità morale a costo di aprire crisi dolorose e totali. Né ci si attribuisca preoccupazioni di astratti moralisti: in verità tutta la politica è possibile soltanto a patto che sappia trovare, nei momenti solenni, le sue origini di rigorismo e di rivoluzione morale. Ritirandosi sull'Aventino le opposizioni aprivano una crisi storica. Certo l'Aventino doveva essere un fine tocco di strategia politica, e doveva affermare la sua incompatibilità con la maggioranza parlamentare di schiavi e di cortigiani, oltre che con il Ministero Mussolini. Doveva ricordare che Matteotti fu ucciso perché dimostrò l'ineleggibilità di tutti gli attuali membri della maggioranza governativa. Dopo quattro mesi, questo grande processo dell'Italia moderna contro l'italietta di Mussolini non è riuscito; si è soltanto aperta la crisi ministeriale del Ministero Mussolini, provvisoriamente sospesa per mancanza di successori. Bisogna dire la parola di allarme. La reazione è in marcia."