05 Dic2016
Referendum: riflessioni a caldo ma con la mente fredda
Il risultato del Referendum è stato chiaro. E i risultati devono sempre essere rispettati, anche quando non ci piacciono.
In questi casi bisogna fare solo una cosa, capire il perchè.
Dico subito una cosa però: io non cambio idea. In questi mesi ho girato l'Italia in lungo e in largo dicendo che questa era una buona riforma. Non lo dicevo tanto per dire. Ne ero convinto e ne sono ancora convinto. E il punto si tiene anche quando si perde. Altrimenti è troppo facile. Lo sapevo anche tre mesi fa che sarebbe stata tutta in salita. Ma io ci ho provato lo stesso. Anzi, più si faceva dura e più aumentavo il mio impegno. Quando sei convinto è così che si fa.
Ero convinto che sarebbe stato un passo avanti importante per l'Italia e una prova di affidabilità internazionale. Nessuna delle pesanti accuse di merito che ho sentito in campagna elettorale era fondata. Lo dico con grande sincerità, a maggior ragione adesso a risultato acquisito. Le abbiamo smontate tutte, una per una, semplicemente leggendo la Riforma. La veritá è che avremmo avuto Istituzioni più efficienti e persino meno costose. Niente di miracoloso, ci mancherebbe, ma tutte cose che avrebbero dovuto portare a una vittoria del SÌ. Di un Sì per il cambiamento.
E invece ha vinto il NO. Perchè?
Questo NO sarebbe sbagliato interpretarlo come un NO conservatore. La gran parte di chi ha votato contro la riforma non l'ha fatto perché le cose gli vanno bene così. Chi ha votato NO l'ha fatto semplicemente contro. E il "votare contro", e non per, è diventato purtroppo tipico in questa stagione.
In questo caso hanno votato contro il Governo, contro il PD, contro Renzi. Contro chi era al Governo in quel momento.
È cambiata l'equazione del cambiamento. Fino a qualche anno fa era Cambiamento=SÌ. Adesso è diventata Cambiamento=NO.
In altri termini è esattamente quello che è successo con la Brexit e negli USA.
Il voto oggi è molto più orientato contro chi gestisce il potere, a cui vengono attribuite tutte le responsabilità e disconosciuti i meriti. Le difficoltà di vita di molti e l'insoddisfazione generalizzata portano a votare contro quel che c'è. Un gesto tanto liberatorio quanto inefficace negli effetti.
È per questo che aver personalizzato il Referendum è stato un grosso errore. Perchè è stato come disegnare sopra alla scheda del Referendum un grosso "target" da colpire. Lo ha fatto Matteo Renzi a inizio campagna e da quel momento non è più stato possibile rimediare. E questo ha pesato, e ha pesato molto.
È vero che probabilmente il Referendum si sarebbe comunque politicizzato - come è accaduto con quello del 2006 di Berlusconi - e che uno stacco di venti punti non è attribuibile solo a quello. Ma sicuramente non sarebbe successo così tanto e non così da subito.
In questo caso però c'è una novità grossa. E la novità è l'affluenza. Nessuno si sarebbe aspettato di andare vicino al 70% (solo Italia). Nel 2001 era stata del 34% e nel 2006 del 54%. Per trovare un dato simile dobbiamo arrivare al 75% delle politiche del 2013!
La verità è semplice: questo Referendum si è trasformato in un'elezione politica. Questo è il punto. E se diventava un'elezione politica, con le attuali forze in campo non poteva che finire così.
Non voglio sminuire però il ruolo che ha avuto una pessima e lunghissima campagna elettorale. Una campagna contraria costruita in gran parte su falsità comprovate e incentrata spesso su questioni che nulla avevano a che fare con il merito. Un modo di fare politica disprezzabile, irrispettoso dei cittadini, e che fa fare un grosso e pericoloso passo indietro alla pratica democratica del nostro Paese.
Ma la domanda a cui non possiamo sfuggire è questa: perchè questo tipo di campagna ha avuto successo? E la risposta è che ha avuto successo perché ha trovato terreno fertile in un'opinione pubblica disposta a crederci. E questo forse è l'elemento più preoccupante.
Ma non per il PD o per il Governo - certo anche per questo - ma per lo stato della democrazia.
Dove per democrazia si intende quel sistema che prevede non solo il voto ma il coinvolgimento attivo, informato e consapevole dei cittadini nella cosa pubblica. La mia preoccupazione di fondo è questa.
Come si può costruire un'Italia migliore se chiunque ci provi si trova - in breve tempo - da solo contro tutti? Che spazio c'è oggi in Italia per la "pars construens" se tutto viene reso inutile da quella "destruens"?
Per capirci, questa mia riflessione non nasce oggi. Sarebbe infantile dire queste cose oggi solo perchè il Sì ha perso. L'ho esposta molte volte nelle iniziative di questi mesi. E le migliaia di persone che ho incontrato me ne sono testimoni.
La mia speranza era che l'antipolitica (passatemi il termine un po' generico) del "voto di pancia" si potesse sconfiggere con la politica. Adesso ho qualche certezza in meno.
Qualcuno potrebbe dire che se questo è stato un "voto tutto politico" il 40% del SÌ non è da buttare via. In questo ragionamento una qualche ragione in effetti c'è. Un fronte del SÌ rappresentato solo dal PD tra i grandi partiti dentro uno schema tutto "politico" difficilmente poteva andare più in là di così. Anche se non possiamo nasconderci però che non tutti i voti sono strettamente riconducibili alle appartenenze partitiche. E perciò che solo una parte di quel voto è di centrosinistra. E che il voto di sinistra che è andato sul no è da dimostrare che sia facilmente "recupersbile" per il PD.
In ogni caso se questa può essere una base di ripartenza lo si vedrà. Ma non può certamente consolarci per quello che è successo. Non può consolarci della sconfitta bruciante.
E adesso, voi mi chiederete, che succederà?!
Non è facile dirlo. O meglio, non è facile aggiungere qualcosa a quello che ha detto in diretta il Presidente del Consiglio dimissionario o che abbiamo già letto tutti sui giornali in queste settimane. Alcune cose andranno sicuramente così come sono state già scritte e dette, a partire dalle sue dimissioni irrevocabili. Ma dovremo fare un passo alla volta, senza precipitazione. Perchè la situazione è troppo delicata per fare diversamente. Questo non significa non fare scelte nette, ma farle in modo ragionato.
Dovremo tenere i nervi saldi. Essere consapevoli che il PD è uno dei pochissimi elementi di affidabilità in un sistema instabile. Certo che vedere chi in queste ore sta festeggiando e cosa sta dicendo dovrebbe far riflettere. Faccio molta fatica a capire come qualcuno possa pensare che l'Italia del giorno dopo questo voto sia messa meglio di quella del giorno prima. Facciamo così, noi lavoreremo anche questa volta perché quella di domani sia meglio di oggi.