18 Nov2016
Referendum: partita non è finita. Serve impegno di tutti per il Sì.
"Condivido molto l'analisi di oggi su Repubblica di Giuliano Pisapia. L'ex sindaco di Milano ha espresso opinioni lungimiranti che penso debbano far riflettere tutti. Non solo perché Pisapia è una persona seria e autorevole, ma anche perché votare sulla Costituzione è una cosa seria, comunque la si pensi. E si deve perciò votare in modo informato e consapevo sulla Riforma e non su altro.
Ha ragione Pisapia anche quando afferma che in caso di vittoria del No l'Italia sarebbe più instabile, e non ci sarebbe come molti pensano un anno di tregua per riorganizzare tutti insieme il Paese.
Oggi tutti i sondaggi danno il No in vantaggio. Ma questa è per me una buona ragione per impegnarmi di più e meglio. Perché nessuna partita è mai vinta o persa in partenza. E la si deve giocare fino all'ultimo minuto se si è convinti della bontà delle proprie idee. Se si è convinti che sia un passo avanti per tutti".
Così il vice capogruppo vicario del Partito Democratico alla Camera, Matteo Mauri.
Qui sotto trovate il testo integrale dell'articolo della Repubblica del 18/11/2016
L’intervista.
L’ex sindaco di Milano: “Oltre le urne il vero obiettivo è non aprire la via a destre e populisti”
Lo strappo di Pisapia “Con il No paese instabile”
GIOVANNA CASADIO
Roma. «Dopo il 4 c’è il 5. E io non credo che, in caso di vittoria del No al referendum, avremmo un anno di tregua nel quale sarà possibile lavorare per riorganizzare il paese, vedo invece un Parlamento ancora più diviso, paralizzato e un periodo di instabilità politica che non farebbe bene al paese, alla sua credibilità a livello internazionale e che avrebbe riflessi negativi anche a livello economico e sociale». Giuliano Pisapia, leader della Sinistra, ex sindaco di Milano prende a prestito il titolo di un dibattito a cui la Spi-Cgil l’ha invitato: parlare di cosa accadrà dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre. Perché è il “dopo” la posta in gioco. E apprezza il leader della sinistra dem, Gianni Cuperlo che è riuscito a ottenere da Renzi le modifiche all’Italicum e perciò voterà Sì al referendum.
Pisapia, oggi la lacerazione, domani ci sarà l’apocalisse, la destabilizzazione se vince il No?
«Nessuna apocalisse sia che vinca il No, sia che vinca il Sì. E mi sembra che siano ormai ben pochi quelli che paventano tale rischio. Io però non credo che, in caso di vittoria del No, avremmo un anno di tregua nel quale sarà possibile lavorare per riorganizzare il paese; vedo invece un Parlamento ancora più diviso, paralizzato e un periodo di instabilità politica che non farebbe bene al paese».
Lei ha già detto che il No non la convince, ma non prende posizione con chiarezza?
«Non ho mai avuto paura a prendere posizioni anche scomode. Ma devo ribadire: mi rifiuto di scendere in guerra con i miei compagni di strada. Io credo in una sinistra larga, aperta, ragionevole e responsabile e non voglio accettare che il referendum e la lunga campagna elettorale diventi il “casus belli” per una frattura senza ritorno. Nella mia idea di sinistra non c’è chi ha esultato per la vittoria di Trump, chi vuole costruire i muri in Europa, chi vuole lasciar naufragare i barconi dei disperati. Ma c’è chi vota Sì come chi vota No. Credo che dovremmo cercare di farci per strada il minor male possibile. E avendo un unico obiettivo: non regalare il Paese alle destre e ai populisti».
Fa paura l’onda lunga di Trump?
«Mi fa paura che non si impari niente dalla lezione americana, che è il trionfo di un messaggio reazionario e la vittoria della politica della rabbia. Dopo Brexit, dopo Trump, bisogna fare uno sforzo immenso perché chi crede nello stesso sistema di valori non si divida. Bisogna trovare la formula per costruire ponti. Mentre dappertutto – anche a casa nostra, anche all’interno della sinistra e del centrosinistra – si sono alzati i muri. Il mio è un appello quasi disperato: le forze della sinistra devono sentire il peso di una responsabilità storica come forse mai nei tempi recenti».
Lo tsunami populista potrebbe abbattersi anche sull’Italia?
«Bisogna fare chiarezza su cosa intendiamo per populismo. Nel nome del populismo in Russia, tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo c’è stato un movimento culturale e politico che si proponeva un miglioramento delle condizioni di vita delle classi più povere. Oggi molti danno a questo termine un significato negativo e dispregiativo, teso a fare far credere come possibili e realizzabili proposte che non si è in grado di realizzare. Se, per populista si intende chi fa mera demagogia pur di cercare facili consensi, allora non c’era bisogno di attendere l’esito delle elezioni americane per dire che il populismo era, purtroppo, già presente».
E ci sarà una ricaduta sul referendum costituzionale, secondo lei?
«Difficilmente chi è convinto di votare Sì o di votare No cambierà idea guardando all’America, soprattutto se il Sì o il No sono determinati non dalla legge costituzionale ma dalla volontà di far cadere il governo. Però gli indecisi sono ancora tanti e sono convinto che la maggior parte deciderà sulla base della conoscenza del contenuto della riforma costituzionale. E poi ci sarà anche chi sceglierà tenendo conto dei passi avanti, in parte già fatti, sulla legge elettorale, impegnandosi seriamente a eliminare, quel “combinato disposto” che, seppur indirettamente, incide anche su alcuni temi della riforma. Anche per questo ho molto apprezzato la posizione di Cuperlo e di chi non si arrende alla dittatura del 4 dicembre. Dopo c’è il 5, ed è al dopo che bisogna guardare».
Quindi lei si considera un eretico rispetto al suo schieramento di sinistra?
«Cosa significa essere eretico? Vincere una campagna elettorale come quella del 2011 a Milano che ha mandato a casa la destra che governava da 18 anni? Su questa riforma costituzionale è importante che siano i cittadini a valutare se sono maggiori le luci o le ombre. Siano loro a decidere se, tenendo conto della situazione reale e non delle speranze o dei sogni, si preferisce lo status quo, se si poteva fare di più o se c’era il rischio di fare peggio. Se il cambiamento proposto è un’opportunità o anche solo un limitato, ma positivo passo avanti».
I sondaggi danno il No in vantaggio, se così fosse Renzi deve andare a casa?
«Dal punto di vista costituzionale non ne vedo la ragione, sarà il capo dello Stato a decidere. Però Renzi si dimostrò coerente nel 2012, dopo avere perso le primarie, disse che non si sarebbe candidato in Parlamento e così fu».
Chi crede nello stesso sistema di valori non si deve dividere, la lezione Usa deve insegnare qualcosa
L’ALLARME
Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano, teme l’avanzata delle destre e dei populisti